06/09/2017

Euro forte: come si muovono le banche centrali?

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Nel corso del 2017, l'euro si è apprezzato notevolmente rispetto alle principali valute mondiali, ritornando sui livelli che hanno preceduto l’inizio del programma di Quantitive Easing lanciato a marzo 2015.
Come si vede nei grafici sottostanti, da inizio anno, la moneta unica ha guadagnato oltre il 13% sul dollaro e circa l’8% sulla sterlina, toccando rispettivamente quota 1,20 e 0,92 nelle settimane passate. Tra le valute emergenti, si segnala un apprezzamento di oltre il 10% rispetto alla lira turca e di circa il 9% rispetto al real brasiliano, quest’ultima reduce dalle vicissitudini politiche in Brasile. A sorprendere è stato il peso messicano, unica tra le principali valute emergenti a reggere l’urto e ad apprezzarsi rispetto all’euro nel 2017. 

 Fonte: Bloomberg

Da più parti, l’euro forte è stato considerato un ostacolo alle esportazioni delle aziende europee, rendendole relativamente meno competitive. Come evidenziato recentemente da Roberto Brasca, gestore del fondo AcomeA Italia, “il repentino apprezzamento della moneta unica rischia di penalizzare soprattutto quelle imprese di piccole e medie dimensioni che non sono attrezzate per competere sui mercati globali”.
L’Italia, con un’economia fondata sulle Pmi e con una quota di export extra-UE pari al 40% del totale, rischierebbe di accusare maggiormente il colpo. 

La crescita più sostenuta dell’area euro, assistita da un calo della disoccupazione e da risultati politici favorevoli ai mercati, è stata uno dei driver (ma non l’unico) a provocare il rally della moneta unica.
Infatti, secondo Alberto Foà e Marco Sozzi, i gestori dei fondi obbligazionari di AcomeA SGR, è stato determinante il ruolo svolto dalle aspettative degli investitori sulle mosse delle banche centrali. Da un lato, l’avvio della riduzione (tapering) del programma d’acquisto di asset da parte della BCE si sta facendo sempre più vicino. Nel contempo, tuttavia, in particolare sulla parte breve della curva dollaro, i rendimenti incorporano attese estremamente basse a favore di un ulteriore aumento dei tassi sui depositi della Fed. Per questi motivi, il dollaro ha perso pesantemente terreno nei confronti dell’euro nell’arco degli ultimi mesi.

 Fonte: Bloomberg

In futuro, la riduzione dello stimolo monetario da parte della BCE potrebbe causare un aumento dei tassi di interesse a lungo termine spingendo verso l’alto rendimenti e spread dei titoli di Stato periferici dell’eurozona e stimolando così la domanda di moneta da parte degli investitori.  
L’apprezzamento della moneta unica, tuttavia, ridurrebbe il costo delle importazioni, ponendo quindi un importante freno alla crescita dell’inflazione che a luglio si attesta all’1,3%. Questo valore, distante ancora dagli obiettivi di Francoforte, potrebbe far slittare l’annuncio ufficiale di un tapering a brevissimo termine.  
Nelle prossime settimane, sarà importante comprendere l’effettivo spazio di manovra della BCE e se la politica fiscale di Trump manterrà le promesse espansive. Si attendono in modo particolare le parole di Draghi in merito alla soglia del 33% sulla quota di debito pubblico di un singolo Paese che la banca centrale può detenere, considerando che il debito tedesco è ormai prossimo a raggiungere questo livello. Infine, l'eventuale approvazione di una riforma fiscale con tagli alle tasse per imprese e cittadini statunitensi, potrebbe innescare un'accelerazione improvvisa sui rialzi dei tassi d’interesse da parte della Fed.
Occhi puntati quindi ai prossimi meeting della BCE e della Fed che si terranno rispettivamente il 7 e il 20 settembre.