17/12/2015

Perchè continuiamo a puntare sui Paesi Emergenti

AcomeA Patrimonio Aggressivo AcomeA Patrimonio Dinamico AcomeA Patrimonio Prudente AcomeA Performance Perchè continuiamo a puntare sui Paesi Emergenti

I recenti ribassi dei titoli (azionari ed obbligazionari) e delle valute dei Paesi Emergenti sono stati intensi (ci sono state variazioni negative tra il 4% ed il 10% in due/tre giorni) e sono in parte da addebitare alla scarsa liquidità dei mercati tipica di questo periodo dell’anno, che tende ad accentuare i movimenti.

I fondi investiti in quest’area hanno conseguentemente registrato forti ribassi.

Quale motivo può dunque esserci non solo per mantenere fede alle nostre scelte strategiche ed anzi, per quanto ci riguarda, di effettuare nuovi acquisti in questo periodo?

Facciamo un esempio concreto: nella giornata del 3 dicembre scorso - quando i mercati si trovarono sorpresi dalla riunione della Banca Centrale Europea di Draghi che decise un insieme di misure “non tradizionali” (quelle che vanno più o meno sotto il nome di Quantitative Easing)- il future sul titolo tedesco a 10 anni (che possiamo considerare come una delle attività considerate più sicure e liquide in Europa) ha avuto una escursione (al ribasso) in giornata del 2%.

Se si accantona l’ovvia considerazione che è “meglio” una perdita del 2% rispetto ad una del 4% e si guarda sia ai motivi per cui i titoli tedeschi rendano così poco (siamo oggi allo 0,6% lordo a 10 anni per il bund tedesco) sia ai motivi per cui il mercato continui a comprarli, si può capire meglio perché preferiamo accettare la volatilità ed anche le perdite di breve/medio periodo continuando ad investire sui titoli dei Paesi Emergenti.

Insomma, pare che ci siano due certezze granitiche: il sostegno dato dagli acquisti legati al QE da parte della BCE è invincibile e quindi si riuscirà a passare a qualcun altro il cerino dei tassi prossimi a zero. Questa granitica certezza che guida le scelte “sicure” dura finché non succede qualcosa che sconvolga le previsioni, come appunto nel caso della piccola delusione data da Draghi.

Possiamo fare il medesimo discorso su un “investimento” a cinque anni in titoli tedeschi (che fanno perdere lo 0,1% all’anno) e capire ancora meglio che è meglio non partire svantaggiati. Il mercato, insomma, continua a non preoccuparsi della possibilità di una normalizzazione dei tassi  o da parte della banca centrale (come la FED americana ha giusto ieri sera incominciato a fare) o da parte del mercato che smette di credere alla storia che si racconta.

La scelta che riteniamo più razionale, tutt’ora, è dunque quella di accettare la volatilità e le perdite di breve/medio periodo che si corrono investendo sui Paesi Emergenti perché in questi Paesi i rischi sono in gran parte prezzati dai mercati: proprio nessuno fa finta di non vedere i motivi per cui i prezzi della attività sono bassi: il rallentamento della Cina, il calo del prezzo delle materie prime, la forza del dollaro, i rischi geopolitici, l’arretratezza delle infrastrutture, gli scandali politici, la necessità di riforme, tanto per citarne alcuni.

Pensiamo però anche per esempio all’effetto benefico che la svalutazione delle monete di questi paesi ha sulla loro bilancia commerciale: è chiaro che nel breve se ne soffrano gli effetti, ma occorre ricordare che questa è una delle medicine giuste per l’aggiustamento di queste economie. Al contrario molti fingono di non vedere che i prezzi della attività dei paesi sviluppati sono prossimi ai massimi storici senza che ci siano motivi fondamentali da giustificare la loro sostenibilità, pensiamo alla situazione economica e debitoria dell’Italia, tanto per fare un esempio.

Si tratta, insomma, di scegliere se si vuole tenere in mano il cerino offerto dalle banche centrali dei paesi sviluppati o accostarsi al fuoco dei Paesi Emergenti: in entrambi i casi occorre cautela, ma il rapporto rischio/rendimento - e l’effetto del passare del tempo - sono del tutto differenti.