18/01/2016

Petrolio sotto i 30 dollari al barile: alba o tramonto?

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Il crollo della quotazione del greggio, giunto oggi a 29 dollari al barile, ha suscitato un forte interesse da parte dei media (giornali-televisioni e social media) non solo sulla dinamiche che hanno condotto il prezzo del petrolio ai livelli del 2003, ma anche sui risvolti economici e politici derivanti da questo nuovo contesto.

La prima domanda che si pone sotto gli occhi di tutti è cercare di individuare le ragioni che hanno portato il prezzo del greggio ai livelli attuali.
Lungo i primi giorni del 2016 il WTI, generalmente identificato come il parametro di riferimento della quotazione del greggio, ha perso il 22% (dopo aver ceduto il 30% nel 2015 e il 45% nel 2014) sulla scia di un eccesso di produzione proveniente dai Paesi del Golfo Persico, in primis Arabia Saudita, e dal rallentamento economico in atto nei Paesi Emergenti, la Cina rimane il principale acquirente dell’”oro nero”, ma questa disanima appare molto elementare e “scolastica”.

La vera ragione è emersa nell’ultimo meeting OPEC tenutosi a Vienna nei primi giorni del Dicembre 2015 in cui l’Arabia Saudita ha “imposto” ai produttori aderenti al cartello la propria volontà economica e politica di mantenere inalterata la produzione, non specificando nessun dato in termini di produzione.
Con questo “modus operandi” è parso chiaro a tutti quale sia la strategia politica ed economica in atto nel Regno Saudita: guadagnare quote di mercato crescenti e mettere in difficoltà l’industria americana dello Shale Oil, un’estrazione non convenzionale ma più costosa, che secondo un documento della Federal Reserve di Dallas ha visto aumentare esponenzialmente nell’ultimo trimestre 2015 il tasso di “default” di alcune piccole medie società petrolifere attive in questo ambito.

Ma il principale obiettivo di Riad sulla scia di questa strategia economica è mettere in grave difficoltà economicha l’Iran, il principale rivale storico politico-religioso che, dopo l’abolizione delle sanzioni legate all’abbandono del piano nucleare, lungo il 2016 potrà di nuovo rimettere il moto la propria capacità produttiva in termini di estrazione.

Ma anche per la stessa Arabia Saudita a questi livelli di prezzo il futuro appare grigio.
Il deficit di bilancio si è attestato a 87 miliardi di dollari la monarchia regnante ha imposto un’insolita politica di austerità in un regno dove fino a poco tempo fa per “disinnescare” le tensioni sociali, ricordiamoci che i campi petroliferi situati a est del paese la componente sciita (vicini all’Iran) è maggioranza rispetto a quella sunnita dominante nel Regno, si è sempre elargito denaro a pieni mani.

Vediamo quindi quali sono le ragioni del posizionamento dei fondi AcomeA espressi in dollari sul comparto petrolifero.
Il modello di gestione di AcomeA è strettamente correlato alle valutazioni espresse sulla base dei prezzi e non sulla base di previsioni o di consenso di mercato.
Innanzitutto siamo sicuri che la strategia di puntare sul settore energetico costituisca un utile elemento “non convenzionale”di diversificazione dei fondi : i rischi di mercato sono in gran parte conosciuti dagli operatori di mercato e prezzati dal mercato che, ciononostante, li vuole evitare.
Abbiamo già assistito in passato a forti correzioni del prezzo del greggio dettate sempre da variabili economiche e politiche, ma nel contempo abbiamo anche notato che di fronte ai primi segnali di stabilizzazione del prezzo e l’esaurirsi della componente “speculativa”(le principali case d’investimento hanno posto a 20 dollari il prossimo livello del greggio) i titoli legati al settore petrolifero hanno pienamente ripagato la scelta d’investimento perseguita.
La scelta più razionale in questo contesto appare quella di “accettare” la volatilità e le perdite di breve periodo per con l’obiettivo di assicurarsi dei rendimenti positivi nel futuro.
Ulteriore supporto alla nostra strategia di sovra-esposizione del comparto energetico è l’emergere dell’attività di acquisizione e fusione: molte società risultano appetibili non solo sotto un profilo valutativo di aziende a sé stanti, ma anche di generazione di utili e flussi di cassa in scenari di integrazioni con altri concorrenti.