25/03/2024
Telecom Italia, siamo alla svolta?
AcomeA PMItaliaA cura di Antonio Amendola, Portfolio Manager, AcomeA SGR
Telecom Italia, leader italiano e fu leader mondiale delle telecomunicazioni, ha una storia travagliata che arriva da molto lontano e che continua tutt’ora.
Partiamo dai fatti e iniziamo con la compagine azionaria: 23.75% della società francese Vivendi, 9.81% della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), 0.69% del gruppo Telecom Italia, 3.75% investitori istituzionali italiani, 44.2% investitori istituzionali esteri, 17.8% altri investitori. Questi sono i dati ufficiali riportati dalla stessa Telecom e che, ai fini dell’analisi dei fatti, teniamo in considerazione per i due macro blocchi Vivendi (23.75%) e CDP (9.81%) poichè, al momento, non abbiamo visibilità sul comportamento degli altri azionisti, nonostante saranno determinanti per le sorti di TIM.
Lo scorso 7 marzo, la società ha presentato un aggiornamento del suo piano industriale con i seguenti numeri condensati:
- al 2024 la società si aspetta un debito (post cessione della rete) d 7.6 miliardi di euro con una leva inferiore alle 2 volte ma un valore assoluto di un miliardo circa più alto di quello che si aspettava il mercato. Gli analisti avevano infatti in mente un debito al 2024 di 6.6 miliardi. Questo è stato il primo elemento che ha allertato il mercato;
- al 2026 la società si aspetta una riduzione del debito, tramite la generazione di cassa operativa, fino al raggiungimento del valore assoluto di 7-7.5 miliardi di euro. Questo il secondo elemento di allarme perché, facendo un calcolo approssimativo, implicherebbe che in arco piano la società non genera cassa al livello operativo;
- il management ha precisato però che la generazione di cassa avviene sia nel 2025 sia nel 2026 ma viene assorbita da poste straordinarie legate alla dismissione della rete, agli interessi sul vecchio debito e al capitale circolante. Tutte poste straordinarie che però sottendono un andamento positivo della gestione operativa e in particolare del business Consumer domestico che è sempre risultato problematico.
Questi elementi quantitativi hanno innescato il primo panic selling sul titolo durante la presentazione dei numeri che ha spinto il titolo anche in area -28%, peggior risultato di TIM in un solo giorno di contrattazione. Cosa ha causato questa prima reazione? Le motivazioni sono molteplici:
- Dubbi sulla sostenibilità della società. Visto che la vendita della rete dovrebbe riportare la società sulla strada della generazione di cassa, come mai non si vede? In realtà, a livello operativo, la società genera cassa ma viene oscurata da elementi one off che potrebbero anche essere visti al ribasso come gli interessi sul debito esistente in caso di miglioramento del rating creditizio;
- Mole ancora elevata di debito nonostante lo scorporo della rete. 7-7.5 miliardi di euro in arco piano sono ancora in valore assoluti elevati, tuttavia, questo valore non tiene conto dei possibili earn-out conseguenti alla vendita della rete (altri 2 miliardi circa rimanendo conservativi) e della vendita di Sparkle (7-800 milioni circa). Le leva al 2026 dovrebbe essere nell’intorno dell’1.6-1.7 in linea con i migliori player del settore;
- Dubbi sulla credibilità del management e sulla loro pessima comunicazione. La società ha totalmente sbagliato l’approccio a questo Capital Market Day (CMD) non preparando bene in anticipo il mercato su queste poste straordinarie presenti nel piano, e non preparando bene sul livello di partenza superiore di 1 miliardo di euro rispetto alle stime. Questo ha dato un duro colpo alla credibilità del management che invece doveva dimostrarsi meritevole di fiducia per un secondo mandato;
- Totale sfiducia nella società data la sua storia. Per la prima volta da anni, molti fondi speculativi avevano iniziato a dare credito al management e al loro piano, tuttavia si sono trovati traditi nelle aspettative e hanno immediatamente applicato una semplice equazione: 1 miliardo di euro aggiuntivi di debito equivale a 1 miliardo in meno di capitalizzazione e, cosa più importante, per tornare ad essere positivi la società deve dimostrare di essere in grado di portare a casa i numeri preventivati.
Risultato di questo drammatico evento è una capitalizzazione post-CMD di circa 4.6 miliardi di euro. Superato la tappa del CMD, la prossima tappa cruciale è l’assemblea degli azionisti chiamati a nominare un nuovo board o a confermare quello attuale. La data dell’assemblea è fissata per il 23 aprile con termine ultimo per la presentazione delle liste il 29 marzo. A questo punto della storia riprendiamo i due blocchi di principali di azionisti e le loro intenzioni:
- Vivendi 23.75%: con la sua partecipazione ha un potere quasi di veto sulle liste presentate, a seconda della partecipazione in assemblea. A oggi non sono ben note le sue intenzioni, nonostante sia il primo azionista, tranne che il fatto che ha svalutato la sua quota a 0.21 euro circa e che è stato sempre contrario alla vendita della rete. Contrarietà mai corroborata da un piano alternativo e/o dalla disponibilità a partecipare a una iniezione di capitale aggiuntivo;
- CDP 9.81%: la società a controllo statale ha da sempre appoggiato il piano Labriola e lo spin off della rete, essendo entrata insieme a MEF e a KKR nella futura Netco. Ad oggi però, senza l’appoggio di altri investitori o senza la convergenza di Vivendi, non ha pieno potere per influenzare drammaticamente la governance;
- Investitori esteri 44.2%: il vero ago della bilancia che dovrebbe aiutare la compagine governativa o quella transalpina. Al momento visto inoltre l’enorme mole di scambi dopo il capital market day (oltre il 30%) è difficile mappare di nuovo le loro intenzioni. Una cosa è certa, difficilmente sono rimasti molti supporter di Labriola;
- Investitori italiani 3.75%: generalmente sotto il cappello di Assogestioni che al momento non hanno manifestato interesse nel presentare una loro lista e potrebbero appoggiare la posizione della CDP.
Come ci avviciniamo all’assemblea e quali sono le liste attualmente sul tavolo. A oggi ufficialmente abbiamo solo la lista del CDA uscente con il piano descritto prima. Ci sono stati rumor su una ipotetica lista alternativa presentata dal fondo Merlyn. Fondo che aveva provato già a novembre a dire la sua proponendo di non vendere la NetCo a KKR. Interessante notare però che, stando alle ultime indiscrezioni, anche questo challenger ha inserito la vendita della rete oltre alla vendita del Brasile e della parte consumer. Con l’avvicinarsi della deadline per la presentazione delle liste, è emerso un ulteriore dettaglio rilevante che ha messo i mercati in fibrillazione: secondo S&P Global, attualmente sarebbero state prese in prestito azioni Telecom per un controvalore pari a circa 1 miliardo di euro, ovvero il 20% della capitalizzazione il valore di prestito più alto dal 2005. La prima reazione dei mercati è stata di ipotizzare un massiccio short contro il titolo Telecom ma, al livello tecnico, il prestito delle azioni può servire anche semplicemente per avere più voti in assemblea. A questo punto ci sono due considerazioni:
- se il 20% della capitalizzazione è stata preso in prestito a questi livelli di prezzo, qualcuno scommette sul fatto che salti la vendita della rete per qualche motivo e che la società sia costretta a fare aumento di capitale (stile monte dei paschi di Siena). Tuttavia, se questo fosse la scommessa, non solo è molto affollata, ma anche rischiosa. Ad oggi, l’unica possibilità di bloccare la vendita della rete viene dalla DG Comp (ultimo tassello è l’approvazione del regolatore europeo atteso per l’estate) o dalla giustizia ordinaria italiana (in quanto Vivendi ha fatto ricorso contro la vendita della rete stessa ma si attende ancora la data della prima udienza). Qualunque sia il nuovo management della società, e ne è parzialmente riprova il cambio di passo di Merlyn, non può invertire la rotta sulla vendita. Inoltre, se davvero fossero state vendute allo scoperto, avremmo dovuto vedere una pressione molto importante e superiore o pari a quella del 7 marzo;
- se il 20% della capitalizzazione è stata presa in prestito per votare in assemblea allora ci sono alcune considerazioni. La prima è che a breve (entro il 29) vedremo le carte scoperte. La seconda è che, chiunque sia, sta sostenendo un costo per questo prestito e, cosa più importante, si sta muovendo senza l’appoggio del Governo che potrebbe essere determinate in una società di questa portata strategica.
Arriviamo ora alla valutazione di Telecom e alla sua famosa somma delle parti, a patto che venga venduta la rete altrimenti le considerazioni sono del tutto prive di fondamento perché si aprirebbe uno scenario da aumento di capitale diluitivo. A oggi Telecom capitalizza poco più di 4,5 miliardi di euro con un debito post cessione della rete di 7,6 miliardi di euro. La società è composta da Telecom Enterprise (la Star), Telecom Consumer (il business distressed), la controllata TIM Brazil e Telecom Sparkle che gestisce i cavi sottomarini. Telecom Entreprise, business ad alta crescita, fu valutato 2 anni fa da CVC circa 6 miliardi di euro. La parte controllata di Tim Brazil vale in borsa a oggi 5 miliardi di euro circa. Telecom Sparkle è in trattative per essere venduta al Mef/CDP per circa 600/800 milioni di euro. In aggiunta all’incasso alla vendita della reta, a seconda di alcune milestone come la fusione tra NetCo e Open Fiber, Telecom può avere diritto ad altri 2/3 miliardi di euro di Earn out. Quindi inserendo tutti questi numeri, a oggi, la parte consumer non solo non viene valutata, ma ha addirittura un valore negativo. Giusto o sbagliato che sia questo lo determinerà il mercato e il nuovo management con i risultati ottenuti, sulla consumer e sul settore delle Telecom in generale occorre però una ultima considerazione.
Il settore delle Telecom Europee vive una situazione di vessazione regolatoria che fu simile al settore bancario post crisi dei debiti sovrani. Il settore Telecom europeo è un settore strategico, ad alta intensità di investimento, ma con pochissima leva sui rendimenti. In Europa, l’elevatissimo numero di player ha portato le tariffe in costante ribasso, scenario inverso negli Stati Uniti. Questo contesto però, si sta rivelando insostenibile per il settore e per gli importanti investimenti strategici da perseguire. Il regolatore europeo, forse più ragionevolmente dopo le elezioni di questa estate, dovrebbe rivedere il suo approccio in tema di aggregazione tra i player esistenti e favorirne il consolidamento per migliorarne la redditività e la conseguente capacità di investire. Questo è un upside sul settore che, allo stato delle cose, non ha più tempo per arrancare inseguendo una disciplina europea datata e non in linea con le esigenze strategiche del continente.
Come detto all’inizio, la storia di Telecom arriva da molto lontano ed è una storia tutta italiana di distruzione di valore. Tuttavia, il settore delle telecomunicazioni e il suo sviluppo saranno sempre più strategici per un mondo che fa dei dati il suo petrolio. Telecom inoltre impiega, solo nel nostro Paese, più di 40mila persone e questa vicenda avrà degli impatti che vanno ben oltre il mero prezzo di borsa. È stata sicuramente una storia gestita male, in primis, dagli azionisti e, in seguito, dal management che hanno sottovalutato la fluidità e l’aggressività del mercato dei capitali. A questo punto però è il momento di ridare dignità al fu campione nazionale e mondiale delle telecomunicazioni che rischia di cadere sotto i colpi delle speculazioni del mercato.